“My name is Barry Allen ”. Queste le prime parole dell’intro di The Flash, serie supereroistica basata sul personaggio DC Comics famoso in tutto il mondo.
Riprendendo lo stile di Arrow, del quale è lo spin-off, nei primi minuti di episodio viene riassunta la genesi del protagonista e la sua missione.
L’ironia è un punto forte dello show e del suo main character, capace di smorzare la
tensione mentre corre in giro per Central City ad aiutare chi ne ha bisogno.
Un incendio in un condominio diventa una gag comica, con le
persone intrappolate all’interno che vengono catapultate in strada con facce
sbigottite.
Nonostante il triste e duro passato, Barry conserva uno
spirito divertente e allegro, supereroe di una serie che riesce a ricordare le
atmosfere di Smallville senza portarsene dietro la pesantezza adolescenziale.
I cliché abbondano in questa seconda puntata. La madre che
cerca la figlia rimasta intrappolata tra le fiamme, il protagonista che fa
difficoltà a conciliare gli impegni e i doveri della sua doppia vita, la
ragazza di cui è innamorato che indaga sulla sua identità segreta à la Lois
Lane.
I danni collaterali mostrati ad inizio episodio, che
avrebbero potuto porre interessanti limiti sulle capacità metaumane di Barry,
vengono risolti con un semplice “devi mangiare di più”.
Flash, pur non essendo il solo ad essere stato colpito dal
fulmine, sembra l’unico capace a pensare di sfruttare le sue doti per una
giusta causa.
Possibile che oltre a lui, tutti gli altri metaumani siano
criminali?
Ultra prevedibile il superpotere del cattivo di turno.
Quando sulla scena del crimine vengono trovate impronte di
sei uomini, tutti con le stesse scarpe numero 46, era cristallino che il
colpevole si potesse clonare.
In tema antagonisti, ritroviamo il dottor Harrison Wells,
che più che una vera e propria nemesi ricopre il ruolo di frenemy del protagonista: aiuta Flash, ha bisogno di lui, ma allo
stesso tempo persegue i suoi obbiettivi con metodi in contrasto con ciò per cui
il velocista scarlatto lotta.
Il momento serietà dell’episodio affronta il problema del
rapporto padre-figlio.
Da quando Barry era piccolo, il suo genitore biologico
sconta una pena in carcere per un crimine che non ha commesso. Numerosi gli
sforzi del bambino per scagionarlo e riabilitarne il nome, mentre cresce con
l’amico di famiglia Joe West.
Il detective adempirà a doveri e compiti genitoriali, lo
nutre, lo veste, gli insegna a radersi e a fare i compiti.
Ecco quindi che Barry si ritrova con due figure paterne alle
quali vuole bene e che credono in lui, stimolandolo nel perseguire i suoi
obiettivi.
La serie purtroppo ci ripropone elementi già visti altrove.
Cisco, l’esperto di informatica, che tramite auricolare e computer
all’avanguardia guida Flash nelle sue missioni, ricopre il ruolo che in Arrow è
di Felicity, la “bitch with wifi”.
Il dottor Wells può ricordare un giovane Lex Luthor, così
come il detective West il genitore adottivo di Superman, Jonathan Kent.
Viene dato moltissimo spazio alla vita di Barry nei panni del
velocista scarlatto, dimenticando che il suo lavoro alla scientifica è un buon
strumento di intrattenimento, al quale paradossalmente viene data più
visibilità nei comics.
Il piccolo schermo infatti richiede costi elevati per gli
effetti speciali e per le scene di azione, a differenza di atmosfere più reali
come il lavoro al dipartimento di polizia.
Aspettando di vedere i prossimi episodi ed una macrotrama
più consistente, The Flash risulta un buon prodotto, capace di amalgamare
insieme ironia e azione.
Voto: 70
Km/h su 100.
Niccolò Costantino per Mind The Popcorn
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